Foo Fighters, Concrete and Gold: la recensione del nono album. Bello ma… non osa.
La prima nota positiva del nono lavoro dei Foo Fighters (Concrete and Gold) è la partecipazione di ospiti di primissimo livello nel panorama della musica internazionale: la copertina andrebbe sicuramente dedicata a Paul McCartney, ma il batterista non è l’unica presenza maiuscola del disco. Non mancano ovvimente le note negative, riassumibili con una frase: hanno mancato di coraggio. Il gruppo non si è discostato più di tanto da una vena già battuta che ha dimostrato di poter e saper incontrare i gusti musicali del pubblico di riferimetno, ma l’amaro in bocca resta.
Foof Fighters, Concrete and Gold: recensione
Banale ma orecchiabile T-Shirt con il suo inizio di chitarra acustica e l’irruzione improvvisa della distorsione dell’elettrica. Buona la prima rottura di mood e ritmo dopo lo stacco di batteria, forse ripetitivo il ritorno all’acustico. Non brutta. Run sembra il proseguimento della precedente: stessa storia, quasi la stessa struttura, più semplice ma ben strutturata la parte ritmica. Il riff dopo lo stacco promette bene, la voce graffiata ed effettate è incisiva, poi il tutto si svuota in maniera forse troppo brusca. Make It Right fa il suo ingresso con un intro di batteria che fa sognare: belli i fraseggi di chitarra che accompagnano la cavalcata. Sfociamo quasi nel mare dell’heavy metal, quello contenuto. Ritornello orecchiabile, morbido ma non radiofonico forse. Quando inizia Sky is a Neighborhood sembra We Will Rock You, poi il brano si perde in commerciale che non convince. La Dee Da ha più effetti sugli strumenti e sulla traccia vocale che virtuosismi.
Il riff ripetitvo non prende, non tira. Incompiuta ma simpatica. Prende invece dall’inizio Dirty Water: delicata, elegante, soft ma allo stesso tempo sostenuta nei tempi dalla parte ritmica. Non è un capolavoro ma è la canzone giusta al posto giusto che osa troppo poco nel ritornello ma ci sta. Pregevole ma non inaspettata Arrows, comunque una delle più belle canzoni che si incont dall’inizio dell’album. Happy Ever After ha un inizio quasi country che fa sorridere e fa sognare. Semplice ma dannatamente bello il basso che accompagna la canzone. Un crescendo di emozione che da sola alza la media dell’album intero. Inizio diverso ma fantastico anche quello di Sunday Rain, una canzone che purtroppo si perde nelle strofe troppo vuote, che non mantengono le promesse di un intro da gran ballad. Troppo commerciale già detto? Penultima canzone, The Line, questa sì cattiva al punto giusto. E chiude la scaletta la title track, un commiato quasi sussurrato, una promessa di un ritorno. O una speranza.
Foo Fighters, Concrete and Gold, VOTO 6.5