Eurovision 2022, le pagelle: i promossi e i bocciati dell’EuroFestival, tornato in Italia grazie alla vittoria dei Måneskin.
Ritmo, emozioni e una ventata di energia e positività. L’Eurovision 2022, il terzo tenuto in Italia in tutta la storia, non ha deluso le attese, con tanta carica e un sorriso stampato sul volto di tutti i concorrenti. Sul versante musicale, le cose sono andate abbastanza bene, ma per un giudizio definitivo bisognerà aspettare ancora qualche settimana. Andiamo a scoprire i promossi e i bocciati di questa edizione.
Eurovision 2022: le pagelle della finale
We Are Domi (Repubblica Ceca): 6
Aprire la finale non è mai semplice. Oggi c’è meno emozione nei tre, più divertimento ma anche meno precisione. Lei va bene sui ritornelli aperti, fatica in tutto il resto della performance.
WRS (Romania): 5
Niente da fare, il suo Eurovision non decolla. Canticchia non bene, balla forse peggio e ha un pezzo che va bene per le serate in riva al mare, fa divertire, ma rasenta il kitsch. Potevamo farne a meno in finale.
Maro (Portogallo): 8
C’è tutto nella performance di Maro. Malinconia, eleganza, un dolore che è splendido, è vivo. Uno dei brani che in questa edizione del Contest funzionano sia in studio che dal vivo.
The Rasmus (Finalndia): 7
La performance di questa sera ha meno l’effetto sorpresa rispetto alla prima serata, ma i Rasmus restano una band solida, anche con un Lauri meno pulito vocalmente, e riescono comunque a tenere il palco in maniera più che convincente. E poi il pezzo, nella sua semplicità e immediatezza, cresce ascolto dopo ascolto.
Marius Bear (Svizzera): 6
Momento disneyano con Marius, che mantiene la sua dolcezza e la sua pacatezza con un brano per cuori sensibili. Tutto sommato un momento piacevole, ma manca quell’intensità che servirebbe per far emozionare fino in fondo.
Alvan e Ahez (Francia): 7
La prima nazione dei Big Five a salire sul palco nella finale lo fa con un pezzo trascinante, potente, pieno di riferimenti una musica etnica differente dalla tradizione tipica francese. Non a caso cantano in bretone. La performance è molto scenica e si guadagna l’applauso convinto del pubblico di Torino.
Subwoolfer (Norvegia): 8
Non c’è molto da dire sui Subwoolfer. Loro il premio simpatia, loro il premio personaggi dell’anno in questo Eurovision. Il brano è discreto, ma passa decisamente in secondo piano rispetto a tutto il contorno che accompagna questo spettacolare gruppo norvegese.
Rosa Linn (Armenia): 7
Snap è un altro di quei brani che riescono a crescere dopo più di un ascolto. Funziona, specialmente se cantato con il trasporto mostrato in questa finale, in cui Rosa è parsa anche più convinta e tranquilla.
Mahmood e Blanco (Italia): 8
Da brividi, davvero, la performance di Mahmood e Blanco. Non sono stati precisissimi, specialmente Alessandro in alcuni momenti. Ma riescono a bucare il cuore di tutti e infiammano il palazzetto di Torino con un’esibizione da pelle d’oca. Standing ovation per loro, ma alla fine si devono accontentare di un sesto posto.
Chanel (Spagna): 6
La canzone è debole, molto debole. Chanel canta benino, ma insegna a WRS come si sta sul palco sul palco quando si vuole ballare. Il pubblico però apprezza molto, specialmente quello del Palaolimpico. Alla fine chiude al terzo posto e sfiora anche la vittoria. Quasi inspiegabile.
S10 (Paesi Bassi): 7
Ancora una volta l’Olanda presenta una canzone come si deve, ben cantata, moderna, con sonorità che riescono a coinvolgere anche chi non capisce l’olandese.
Kalush Orchestra (Ucraina): 8
I grandi favoriti, gli idoli delle folle, personaggi come i Subwoolfer, ma molto lontani e molto differenti. Infiammano il palazzetto quasi ai livelli dei nostri Mahmood e Blanco. Bello anche il messaggio contro la guerra alla fine del pezzo, seppur rischioso a livello di regolamento (vietato mandare messaggi politici). Alla fine hanno trionfato, come da pronostico. E per certi versi è anche giusto così.
Malik Harris (Germania): 7
Una ballata pop movimentata per Malik, che finge di essere un one-man-band sul palco e omaggia il suo idolo Eminem con una terza strofa serratissima apprezzata anche dal pubblico. Tutto sommato una buona esibizione, ma chiude all’ultimo posto.
Monika Liu (Lituania): 8
Lei è una delle voci più convincenti ed educate di questo Eurovision. La sua canzone, se l’avesse portata una cantante francese, sarebbe sicuramente stata tra le principali candidate per la vittoria.
Nadir Rustamli (Azerbaigian): 6
Una buona canzone e una buona performance, ma c’è qualcosa che manca in Fade to Black e in Nadir. Può comunque essere soddisfatto di aver raggiunto la finale.
Jeremie Makiese (Belgio): 7
Convincente ancora una volta Makiese, che sul palco ci sa stare benissimo, grazie anche a una voce black che spicca nel contesto dell’Eurofestival. La canzone non è un capolavoro, ma riesce nell’intento di mettere in risalto le sue sfumature R&B.
Amanda Georgiadi Tenfjord (Grecia): 8
Non è un capolavoro, il pezzo di Amanda. Ma è una ballata moderna, che diventa davvero speciale grazie all’interpretazione offerta dalla cantante greca, molto intensa anche in questa finale. L’hanno paragonata a Lorde, e non è poi un azzardo.
Systur (Islanda): 7
Chiedono pace per l’Ucraina le Systur, con questo country pop dalle armonizzazioni vocali delicate. Sembrano fuori dal mondo. D’altronde, l’Islanda non è poi dietro l’angolo. In fin dei conti la loro è un’esibizione che, nella loro sobrietà, funziona.
Zdob si Zdub e Fratii Advahov (Moldavia): 9
Pazzeschi. Se i Subwoolfer saranno i personaggi di questo Eurovision, e le Systur forse le più stranianti, questo folle connubio moldavo porta sul palco l’energia del punk e la sfrenatezza delle peggiori musiche tradizionali dell’Est Europa, e fa divertire il pubblico come nessun altro in questo Contest. Apprezzatissimi dal pubblico, meno dalle giurie. Noi li abbiamo amati.
Cornelia Jakobs (Svezia): 8
Parte come Adele, chiude graffiante, quasi come la nostra Nannini. Non è precisa, non è pulita, molto power pop sul finale, ma funziona alla grande e conferma tutta la solidità della tradizione musicale della Svezia, soprattutto all’Eurovision.
Sheldon Riley (Australia): 7
Tutta la potenza di Sheldon sta nella sua voce, certo, ma anche nella sua teatralità. Va detto, non c’è nessuno tra i cantanti di questo Eurovision che riesce ad abbinare le capacità canore con una forza espressiva del genere. Manca però qualcosa di trascinante alla canzone, una ballata che alterna momenti convincenti ad altri sottotono.
Sam Ryder (Regno Unito): 8
Il buon brano, solido, tipicamente britannico nella costruzione pop, di quel pop che funziona sempre, quasi evergreen. Sam poi è un personaggione, tiene il palco, trasmette un’energia straordinaria e a tratti sembra davvero venire dallo spazio, senza bisogno di maschere gialle però. Alla fine, senza la guerra, probabilmente avrebbe portato a casa la vittoria.
Ochman (Polonia): 7
River è un brano che, al contrario di altri, perde mordente dopo un paio di ascolti. Ochman non ha nemmeno una grande presenza, ha un’energia completamente diversa rispetto a quella di Sam. Ma canta, e lo fa bene, con versatilità e pulizia, quella di chi sa dove mettere le note.
Konstrakta (Serbia): 8
In corpore sano è una buona canzone, molto furba. Dal vivo, con questa performance, diventa un pezzo davvero davvero forte, trascinante, con quelle melodie che suonano esotiche alle nostre orecchie grazie all’utilizzo della lingua serba. Forse anche gli altri Paesi dovrebbero avere il coraggio di abbandonare l’inglese, se l’effetto è questo.
Stefan (Estonia): 6
La carrellata delle venticinque esibizioni si chiude con il salto nel west, con le atmosfere morriconiane di Stefan. Che riesce a risultare più coinvolgente che nella semifinale, ma rimane distante dal livello di originalità che un contest come l’Eurovision richiede per essere incisivi.
Eurovision 2022: le pagelle della seconda semifinale
The Rasmus (Finlandia): 7
Apertura in stile It per i The Rasmus. Quasi vent’anni dopo In the Shadows, i finlandesi si presentano uguali a se stessi, non fosse per il cambio alla chitarra. Il risultato è una performance grintosa e che non delude i loro vecchi fan.
Michael Ben David (Israele): 7
Il brano è discreto, orecchiabile ma non particolarmente azzeccato. In studio rende il giusto, dal vivo, con tanto di coreografia, cresce e rapisce. Vocalmente ci siamo, come presenza anche. Bene così, anche se non passa in finale.
Konstrakta (Serbia): 8
Coinvolge tutto il pubblico con il battito di mani sul ritornello, dopo essersele peraltro lavate per tutte le strofe. Originale, e con un messaggio polemico di fondo che non fa mai troppo male. Uno dei momenti sicuramente più riusciti di questa seconda semifinale, nella sua semplicità.
Nadir Rustamli (Azerbaigian): 6
Un bel ragazzo con una buona voce e una canzone terribilmente anonima. Che però conquista il pass per la finale.
Circus Mircus (Georgia): 8
In quel fenomeno da baracconi che si chiama Eurovision, dei rappresentanti della sacra arte circense non potevano mancare. Il brano è tra i più intriganti, con tante sfaccettature ed elementi che richiamano il rock, una certa elettronica e un sapore folk. Tutto molto ben fatto, ma non abbastanza per i fan dell’Eurovision.
Emma Muscat (Malta): 7
Come presenza Emma non è seconda a nessuno. Canta, balla, ruba gli occhi ed emoziona con la sua voce, rendendo ancor più convincente un brano pop non particolarmente originale. Resta fuori dalla finale.
Achille Lauro (San Marino): 7
Meglio che a Sanremo, Lauro sembra aver trovato il suo palco perfetto. Scatena tutta la sua potenza visiva, canta anche meglio di altre volte, ma soprattutto esegue alla perfezione una coreografia provocatrice studiata al dettaglio. E il pubblico gli tributa una giusta standing ovation. L’unico ricordo di questo Eurovision, che per lui finisce qui.
Sheldon Riley (Australia): 8
La canzone in studio non dà le stesse sensazioni che riesce a trasmettere dal vivo. Sheldon è visivamente emozionato, e questo gioca a suo favore. Il resto lo fa la voce, una delle più potenti e interessanti di questo Eurovision.
Andromache (Cipro): 5
Al contrario, Ela in radio suona benissimo, ma nell’esecuzione dal vivo Andromache appare incerta e sempre al limite della stonatura. Probabilmente l’emozione le ha giocato un brutto scherzo, ma ci si poteva attendere di più.
Brooke (Irlanda): 6
Una canzone giovanile, proposta con grinta, energia e spensieratezza. Tutto sommato piacevole, ma non indimenticabile.
Andrea (Macedonia del Nord): 6
Brano discreto, esecuzione più che buona, ma nel corso della serata abbiamo assistito a momenti più interessanti, anche a livello visivo.
Stefan (Estonia): 6
Discorso simile per Stefan, che porta sul palco atmosfere western e le maneggia con convinzione. La canzone però era più credibile in studio.
WRS (Romania): 5
Un pezzo dance dalla Romania, ma cantato (non bene) prevalentemente in spagnolo, con evidenti richiami alla musica iberica. La domanda è: perché? Eppure c’è chi li ha votati…
Ochman (Polonia): 7
Momento Belcanto, portato in Italia, il Paese del Belcanto per antonomasia, da un giovane e talentuoso cantante polacco. Più che buona la canzone, ottima la sua performance, con quel tocco di imprecisione dettato dall’emozione. Ma si sente che il ragazzo ha studiato, e camuffa gli errori con grande furbizia.
Vladana (Montenegro): 7
Forse la voce migliore dell’intero Eurovision. Potente, elegante e ipnotica, con un brano bellissimo che può solo crescere con gli ascolti. Purtroppo però questa resterà però la sua unica esibizione.
Jeremie Makiese (Belgio): 7
Fresco, con venature soul e R&B e una presenza scenica interessante per il giovane cantante-calciatore, che supera alla grande la prova del nove della sua carriera.
Cornelia Jakobs (Svezia): 7
Una delle più attese in assoluto, tra le favorite, complice una canzone che sembra scritta apposta per rapire il pubblico tipico dell’Eurovision. Lei canta bene nella prima parte, si perde un po’ nella seconda, ma regala comunque una delle migliori performance della serata. Teniamola d’occhio…
We Are Domi (Repubblica Ceca): 6
Si chiude con un pezzo adatto ai club. La cantante ceca si emoziona nella fase centrale, ma riesce a tenere bene il palco e si apre alla grande sul ritornello. Tutto sommato una performance discreta.
Eurovision 2022: le pagelle della prima semifinale
Ronela Hajati (Albania): 6
Sarà l’emozione per la prima esibizione ma Ronela, che pure ha una bella voce e una canzone potente, non ha fatto un’esibizione impeccabile. Certo, ci ha messo tanta energia, ma anche qualche stonatura di troppo.
Citi Zēni (Lettonia): 8
Coloratissimi, divertenti, funkeggianti e coordinati. I concorrenti lettoni hanno mantenuto le aspettative della vigilia. Non sono però riusciti a conquistare il pubblico e quindi ci salutano qui: peccato.
Monika Liu (Lituania): 8
La più sofisticata della serata, probabilmente. Le sue atmosfere da club jazz conquistano e affascino, vocalmente non sbaglia nulla e si porta a casa un applauso convinto.
Marius Bear (Svizzera): 7
La sua è invece forse la canzone più dolce tra quelle in gara. La performance è buona, con giusto qualche sbavatura sul finale, ma più che accettabile.
LPS (Slovenia): 6
Canzone tra le più belle di quest’anno, ma eseguita con un minimo di spavento e qualche tremore. Sono giovani, si rifaranno.
Kalush Orchestra (Ucraina): 7
Erano i più attesi, e non hanno deluso le aspettative, con la loro proposta che mescola folk e hip hop, con un testo serrato e anche adeguato al contesto che sta vivendo il loro Paese. Facciamo con loro il tifo per la pace.
Intelligent Music Project (Bulgaria): 8
La proposta più rock di quest’anno, mantengono tutti i cliché del genere ma riescono a metterci anche una melodia che non sta male su un palco come quello dell’Eurovision. Ma sta ancora meglio su un festival rock. Vanno fuori con onore.
S10 (Paesi Bassi): 7
Elegante e molto matura, S10 sorprende con un indie pop davvero piacevole, interpretato con grande leggerezza.
Zdob și Zdub (Moldavia): 9
L’esibizione di maggior impatto della serata. La canzone, che omaggia i Ramones e il loro punk ma lo fonde con l’hip hop e con sonorità più locali, dell’Est Europa, non è probabilmente tra le migliori. Ma tra le più divertenti sì, e loro sorprendono il pubblico prendendosi forse la più sincera delle standing ovation di serata.
Maro (Portogallo): 7
Elegantissima e sobria, malinconica come solo i portoghesi sanno essere. La sua Saudade, saudade è uno spettacolo, e cresce ascolto dopo ascolto. Da tenere d’occhio.
Mia Dimšić (Croazia): 7
Tra le proposte puramente pop, una delle migliori. Scritta bene, suonata ottimamente e cantata con una voce che non sfigurerebbe sulle nostre radio. Non viene però compresa appieno dal pubblico.
Reddi (Danimarca): 7
Una power pop/rock band al femminile direttamente dalla Danimarca. Cominciano con una ballata piano e voce, poi entrano con il resto degli strumenti e straripano con la loro energia. Troppo poca però per convincere il pubblico.
Lum!x e Pia Maria (Austria): 6
Fanno ballare il palazzetto più di tutti gli altri concorrenti. Ma Pia Maria canta male, con una voce stridula ed eccessivamente sotto sforzo. Possono fare di meglio. Il brano comunque, nella sua mediocrità, funziona alla grande.
Systur (Islanda): 7
Atmosfere quasi western per le sorelle che vengono dall’isola più a Nord dell’Europa. Armonie perfette, anche se manca quel tocco islandese altre volte visto sul palco.
Amanda Tenfjord (Grecia): 8
Intensità è la parola chiave per Amanda, che impreziosisce un pezzo già buono con una performance che commuove e fa volare.
Subwoolfer (Norvegia): 8
I più divertenti di tutti, ma lo si sapeva già da mesi. I lupi gialli norvegesi si confermano i personaggi di questo Eurovision, e prenotano un posto tra gli artisti che faranno la storia dell’edizione torinese.
Rosa Linn (Armenia): 7
Canta bene, ha un buon brano country pop, ma non sembra avere un legame vero con il proprio Paese. Si poteva rischiare un po’ di più, ma è giovane e ha fatto una figura migliore rispetto ad altri concorrenti.