Ogni tanto è bello far “rivivere” i miti tramite le loro parole: Lucio Battisti rilasciò l’ultima intervista nel 1979 e disse qualcosa di molto bello.
Ai microfoni di Radio Svizzera, in una trasmissione condotta da Giorgio Fieschi, Lucio Battisti raccontò di sè e soprattutto del suo rapporto con la musica. E l’intervista, targata 1979, fu davvero l’ultima che rilasciò, prima di rifugiarsi nel silenzio mediatico.
Fieschi si riproponeva di restituire all’Italia un ritratto inedito di Battisti, e in un certo senso così è stato, perché Battisti parlò con franchezza di molti argomenti.
Le critiche degli addetti ai lavori
All’epoca, parliamo del 1979, Battisti aveva registrato un album, intitolato “Images”, in cui l’artista riproponeva il suo repertorio in lingua inglese. I critici furono tutt’altro che teneri, nel giudicare questo album.
“In generale, è un album che mostra i limiti di una cosa – è chiaro – che doveva essere fatta già molto tempo prima, solo che io questa esigenza l’ho sentita adesso. Dopo aver raggiunto certi risultati in italiano era un po’ ridicolo da parte mia aspettarmi di avere immediatamente gli stessi risultati in una lingua… quasi sconosciuta per me. Io quello che so dell’inglese l’ho imparato in questi anni. Ma ne è valsa la pena perché ha aggiustato il mio tiro per la produzione italiana. Mi ha dato nuova linfa. Continuerò: non so se è una mia follia. In Italia potevo fare tutto quello che volevo, e non avevo un elemento di sfida.”
Battisti sperava che all’estero ci fosse spazio anche per la sua musica: “non credo che ci siano preconcetti o preclusioni. Il problema è solo mio, personale”.
Vate o no?
Bellissimo il passaggio in cui Battisti, rispondendo alla domanda se voglia trasmettere dei messaggi con le sue canzoni, dice:
“Se ce l’ho, non lo faccio apposta. Non credo di essere nè un santone nè un vate… che somiglia molto a water!”
Il vero senso della musica
Nell’intervista Lucio Battisti ha parlato anche del suo rapporto con la musica, che arriva sempre a sorprenderlo. In questo passaggio ha citato ovviamente anche il grande Mogol, suo leggendario paroliere, dicendo che con lui vuole scrivere cose semplici ma allo stesso tempo anche forti.
“Coesiste il desiderio di fare musica molto bella e il desiderio di fare musica molto popolare. Il desiderio di fare musica molto creativa e molto rozza perché possa arrivare a un pubblico che non ha voglia per niente di spremersi la testa e che magari ha ragione. Quindi questo crea, di volta in volta, delle strane cose che sono molto diverse da quelle che io mi ero immaginato in partenza. Ma è questo il bello della musica, non si sa mai cosa esce fuori. È logico che, a volte, può venire fuori la canzonetta scema ma, delle volte da questo contrasto, da questa cosa così caotica, possono nascere cose molto belle.”
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