La classifica degli album degli Iron Maiden

La classifica degli album degli Iron Maiden

La classifica degli album degli Iron Maiden: dal disco peggiore della carriera della band di Steve Harris al capolavoro assoluto.

Gli Iron Maiden sono stati e sono ancora oggi uno dei gruppi cardine della storia dell’heavy metal. Probabilmente tra i gruppi della cosiddetta New Wave of British Heavy Metal (NWOBHM) sono stati i più famosi in assoluto, quelli che sono riusciti nell’impresa di far diventare mainstream un genere basato su sonorità dure e ritmi spesso forsennati.

Il tutto grazie al talento compositivo e alla leadership del bassista Steve Harris, ma anche al carisma di Bruce Dickinson e alle capacità straordinarie di tutti gli altri musicisti che si sono avvicendati nelle varie line up.

Ripercorriamo insieme la loro carriera fino a oggi attraverso una classifica, del tuto soggettiva, dei loro sedici album in studio, dal peggiore al migliore.

La classifica degli album degli Iron Maiden

Iron Maiden

16 – Virtual XI (voto: 7+)

Partiamo dall’undicesimo album della band, uno dei più controversi in assoluto. Si tratta del secondo della difficile parentesi con Blaze Bayley alla voce. Un disco che è stato odiato dai fan di vecchia data della band, complici delle sonorità che tendevano ad allontanare tantissimo i Maiden dal loro classico metal (basti ascoltare un brano pessimo come The Angel and the Gambler).

Ad oggi non si tratta di un lavoro da rivalutare, ma va comunque sottolineato come non tutto sia da buttare in questo disco, specialmente canzoni come The Clansman o l’intensa ballad Como estais amigos:

15 – The X Factor (voto: 7.5)

Che qualcosa d’altronde nel cambio Dickinson-Bayley si fosse perso era già intuibile dal precedente The X Factor, decimo album del gruppo, datato 1995. Un disco tutto sommato buono, ma che alternava momenti molto intriganti, come l’opener Sign of the Cross, con altri a malapena sufficienti come Man on the Edge o Look for the Truth.

14 – Killers (voto: 😎

Secondo album nella storia della band (1981), l’ultimo con alla voce Paul Di’Anno. Un disco positivo, privo di veri capolavori ma con pochi momenti critici. Il suo più grave forse è il fatto di aver parzialmente deluso le aspettative dopo un debutto straordinario come quello dell’anno precedente. Il brano più rappresentativo? Con pochi dubbi Wrathchild:

13 – Seventh Son of a Seventh Son (voto: 😎

Settimo album, datato 1988, è uno dei più vicini alle sonorità di certo prog rock alla Jethro Tull. Un disco oggi amatissimo dai fan, ma che non fu esente da critiche per la robusta presenza di tastiere, strumento che fece il debutto nella storia dei Maiden nell’album precedente. Tra i tanti brani degni di essere ascoltati ricordiamo Infinite Dreams:

12 – A Matter of Life and Death (voto: 😎

Quattordicesimo album (2006), è caratterizzato da una incredibile compattezza, pur essendo uno degli album più lunghi della loro carriera. Sonorità simili accompagnano le dieci tracce super amplificate.

Tutto sommato un lavoro apprezzabile che ha forse l’unico difetto di risultare privo di canzoni trascinanti come negli altri dischi di questo secondo periodo dickinsoniano. Ecco il video di The Reincarnation of Benjamin Breeg:

11 – No Prayer for the Dying (voto: 8)

I difficili anni Novanta dei Maiden iniziarono con questo ottavo album. Un disco piacevole, meno rischioso dei due precedenti e meno ‘leggendario’ del successivo. Resta nella memoria dei fan specialmente per due brani: Holy Smoke e Bring Your Daughter… to the Slaughter.

10 – Dance of Death (voto: 8+)

Il tredicesimo album (2003) dei Maiden presenta tutte le contraddizioni di una band che ha già superato il culmine della propria carriera, ma che vive ancora nell’eterna volontà di reinventarsi. All’interno di questo disco compaiono brani deboli, come Gates of Tomorrow, che riprendeva sonorità alla Virtual XI, ma anche dei veri e propri capolavori, come Paschendale o l’acustica Journeyman.

Il pezzo più rappresentativo di questo disco è però l’indimenticabile title track, una delle canzoni più riuscite nella storia della band (al contrario della copertina, un orrore senza rivali):

9 – Piece of Mind (voto: 8+)

Quarto album della band (1983), Piece of Mind è uno degli album classici della storia dei Maiden, il secondo con Bruce alla voce. Un grande disco, con pochi dubbi, trascinato soprattutto dall’inno The Trooper. Resta però il meno ispirato tra i dischi più ispirati della loro carriera.

8 – The Final Frontier (voto: 8.5)

Nel 2010 i Maiden tornarono a far sentire la propria musica con il quindicesimo disco, The Final Frontier. Un album che dimostrò che avevano ancora qualcosa da dire.

Di certo non rimarrà nella storia come uno dei più amati della loro carriera, ma è un disco che racchiude in sé molti dei pregi della band di Steve Harris, a partire dalla capacità di variare tempi e sonorità all’interno della stessa canzone.

Tra i pezzi degni di essere riascoltati ricordiamo Coming Home:

7 – The Book of Souls (voto: 8.5)

Primo album dopo il tumore che colpì nel 2014 Dickinson, The Book of Souls è il sedicesimo e finora ultimo disco della band. Il primo doppio album della loro carriera. Un lavoro complesso, che segue la scia del precedente ma su muovendosi su una linea tematica differente.

Capolavoro assoluto all’interno di questo album è la lunghissima suite Empire of the Clouds, il brano più lungo nella loro discografia:

6 – Somewhere in Time (voto: 8.5)

Disco rivoluzionario nella storia della band e del metal, fu uno dei primi (1986) a presentare in questo genere le synth guitar, che verranno poi accompagnate da tastiere e sintetizzatori dal lavoro successivo. Già solo per questo varrebbe la pena di ascoltarlo.

Ma all’interno troviamo alcuni classici ancora oggi amatissimi: Caught Somewhere in Time, Wasted Years, Stranger in a Strange Land e l’indimenticabile Alexander the Great.

5 – Fear of the Dark (voto: 8.5)

Nono album del gruppo, datato 1992, fu l’ultimo prima dell’addio (momentaneo), di Dickinson al gruppo. Nonostante secondo alcuni fan non sia al livello dei grandi classici della loro carriera, è forse uno dei dischi più vari della loro carriera.

Senza snaturarsi, infatti, i Maiden affrontarono qui tematiche di morte, di vita, d’amore, sempre con la stessa grinta. Quell’energia che fa della title track una della canzoni più famose nella storia del metal:

4 – Iron Maiden (voto: 9-)

L’album di debutto di Harris e compagni, con Paul Di’Anno alla voce, è uno dei dischi più importanti nella storia della musica. Datato 1980, presenta tutte le caratteristiche che riusciranno a rendere la loro carriera lunga e inimitabile.

Ancora ampiamente influenzato dall’hard rock del decennio precedente, ci sorprende con momenti prog (Phantom of the Opera), cavalcate furiose (Prowler) e pause improvvise (Strange World), regalandoci un’esperienza completa e ancora oggi gratificante.

3 – The Number of the Beast (voto: 9-)

Dopo la parziale delusione di Killers, il terzo disco degli Iron Maiden fu una sorta di prova del nove per la band. Una prova ampiamente superata anche alla ventata d’energia regalata dalla voce di Bruce Dickinson, ancora acerbo in certi momenti ma pieno di forza ed espressività.

Tra i tanti momenti indimenticabili riascoltiamo Run to the Hills:

2 – Brave New World (voto: 9)

Dodicesimo disco della band, primo del nuovo millennio, Brave è un album ampiamente sottovalutato. Da The Wicker Man a The Thin Line between Love and Hate, ci trasporta in un viaggio emozionante, carico di pathos, complice il ritorno di Bruce alla voce e di Adrian Smith nel ruolo di terza chitarra al fianco di Janick Gers e Dave Murray.

Non sarà un classico in una discografia così ampia e ricca, ma resta un capitolo degno di nota a dir poco. Riascoltiamo la title track:

1 – Powerslave (voto: 9)

Se c’è un album che ogni appassionato di metal dovrebbe avere nella propria discografia, questo è Powerslave, l’album della definitiva maturità dei Maiden. Datato 1984, racchiude al suo interno poesia, richiami esotici, scariche puramente NWOBHM, e alcuni degli inni della loro carriera, come Aces High e 2 Minutes to Midnight.

Insomma, un autentico capolavoro, privo di difetti, se non in poche e insignificanti sfumature. Riascoltiamo insieme proprio il brano che gli dà il titolo:

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