Sanremo 2020, critiche per Junior Cally. Salvini: “Uno scemo non può andare a Sanremo”

Sanremo 2020, critiche per Junior Cally. Salvini: “Uno scemo non può andare a Sanremo”

Sanremo 2020, polverone su Junior Cally: il rapper romano è stato accusato di misoginia per una canzone del 2017 in cui incitava al femminicidio.

Nuova polemica su Sanremo 2020. Al centro, ancora una volta, il tema legato al ruolo sociale della donna. Stavolta nel mirino della critica non c’è però il direttore artistico Amadeus, bensì un artista in gara: Junior Cally.

Se il rapper romano si presenta in gara con un brano contro Salvini, Renzi e il populismo in politica, il problema vero è che nel suo curriculum figurerebbero alcuni testi molto violenti in cui le donne vengono umiliate, maltrattate e considerate alla stregua di oggetti. Parole vecchie ma dure, che hanno scandalizzato molti: dallo stesso leader della Lega a Marcello Foa.

Sanremo 2020: critiche per Junior Cally

A far discutere è in particolare il brano Strega, in cui Cally rappava: “Lei si chiama Gioia, balla mezza nuda, dopo te la dà. Si chiama Gioia perché fa la tro*a. L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa, c’ho rivestito la maschera“.

Il primo a denunciare l’artista, di cui poche persone con più di 25 anni conoscevano l’esistenza prima dell’annuncio di Amadeus, è stato Marco Brusati, professore di area cattolica dell’Università degli Studi di Firenze attraverso il suo blog. Le sue accuse hanno fatto rumore e sono arrivate a diversi parlamentari…

Tra l’altro, le frasi sessiste di Strega non sarebbero le uniche del curriculum del rapper. Anche in altri brani Cally giocherebbe con l’unpollitically correct. In Regola 1 immagina ad esempio di sottomettere diverse donne famose, come Giusy Ferreri, Greta Menchi ed Elisabetta Canalis.

Questo il video di Strega:

Salvini e Foa contro Junior Cally

E tra i tanti che hanno alzato la voce contro la sua partecipazione, ci sono due persone che hanno il loro peso specifico. Uno di questi è Matteo Salvini, tra l’altro protagonista in negativo del brano di Cally a Sanremo. Il leader della Lega ha infatti dichiarato: “Io mi sono fatto un mazzo così per un anno contro il femminicidio per approvare il Codice Rosso per salvare le donen e arriva questo cretinetti a Sanremo che pensa che la donna in quanto… Vi pare normale?“.

Matteo Salvini

Non pago, Salvini ha continuato affermando che non è colpa del rapper se è scemo. Il problema è che il primo scemo non dovrebeb avere il diritto di andare a Sanremo.

Parole che sono state in qualche modo ‘benedette’ anche dal presidente della Rai, Marcello Foa, che ha dichiarato “eticamente inaccettabile” la presenza di Junior Cally sul palco dell’Ariston.

La replica di Junior Cally

Antonio Signore, il ventottenne romano che si nasconde sotto la maschera di Junior Cally, non ha però perso tempo, e ha replicato alle accuse tramite il suo management. Dopo aver sottolineato di essere assolutamente contro il sessismo e la violenza sulle donne, ha mosso una riflessione sull’arte.

Queste le sue parole: “Lungi da Junior Cally scomodare i grandi nomi del cinema, della letteratura e della storia dell’arte, da Tarantino a Kubrick, da Gomorra a Caravagio e scrittori come Nabokov e Bret Easton Ellis: l’arte può avere un linguaggio esplicito e il rap, da sempre, fa grande uso di elementi narrativi di finzione e immaginazione che non rappresentano il pensiero dell’artista“.

Parole che non cadono nel vuoto, ma vengono suffragate da una serie di esempi di cantanti che sul palco dell’Ariston ci sono saliti e che nella loro carriera hanno scritto versi sessisti: da Vasco Rossi (“è andata a casa con il negro la tro*a“) agli Afterhours (“sei più bella vestita di lividi“), da Marco Masini (“mi verrebbe da strapparti quei vestiti da putta*a“) ad Achille Lauro (“l’amore è un po’ ossessione, un po’ possesso, carichi la pistola e ti sparo in testa“). Ma ce n’è anche per Myss Keta, che è stata tra l’altro scelta come conduttrice dell’Altro Festival (“Jo sono la tua tro*a“).

Le conclusioni sono che o si accetta l’arte del rap o si rende il Festival di Sanremo “un’ipocrita vetrina del buonismo, lontana dalla realtà e succursale del Parlamento italiano“.

Argomenti