La classifica degli album dei Pink Floyd

La classifica degli album dei Pink Floyd: dal disco peggiore della carriera della band inglese al capolavoro assoluto.

La leggenda dei Pink Floyd è di quelle destinate a rimanere immortali. Un gruppo che ha vissuto più vite, che ha passato traumi enormi e che è riuscito a coniugare il bisogno di una musica alta e profonda con l’inevitabile peso della natura commerciale dell’industra dell’arte.

Sotto la guida di leader carismatici, da Syd Barrett a David Gilmour, senza dimenticare Roger Waters, la band ha conquistato fan di diverse generazioni, creando lavori che rimarranno per sempre nella storia della musica. Ripercorriamo insieme la loro carriera attraverso una classifica, del tutto soggettiva, dei loro quindici album in studio, dal peggiore al migliore.

La classifica degli album dei Pink Floyd

Roger Waters e Nick Mason

15 – More (voto 7+)

Music from the Film More è il terzo album in studio del gruppo inglese, la loro prima colonna sonora, nonché il primo lavoro pubblicato dopo la ‘cacciata’ di Syd Barrett. Un disco che mescola rock psichedelico, qualche accenno blues e folk, in una miscela intrigante ma tutto sommato priva quello spessore che diverrà negli anni tipico dei loro capolavori.

Ne ascoltiamo un estratto: ecco la delicata ballata Green Is the Colour.

14 – The Endless River (voto: 7+)

L’ultimo album ufficiale della band, pubblicato nel 2014, è in realtà una raccolta del materiale ‘avanzato’ dalle sessioni per il precedente The Division Bell. Definito come il canto del cigno del tastierista Richard Wright, vanta tutti brani strumentali e ambient eccetto il singolo Louder than Words.

Ascoltiamo proprio quest’ultima:

13 – Ummagumma (voto: 7.5)

E veniamo all’album sicuramente più controverso della carriera dei Floyd. Pubblicato nel 1969, è il lavoro più sperimentale nella storia della band, nonché il primo con alcuni accenni prog.

Due i dischi che lo compongono: il primo è registrato dal vivo e presenta brani editi in versioni più lunghe e parzialmente improvvisate; il secondo è invece formato da materiale inedito composto dai quattro membri della band separatamente.

Il momento più interessante di questo strano album è nella doppia traccia scritta che porta la firma di Roger Waters. Il bassista è stato infatti in grado di registrare uno dei brani più difficilmente digeribili mai scritti non solo nella carriera dei Pink Floyd, ma nella storia della musica (Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict), ma anche uno dei pezzi più delicati e dolci della carriera dei Floyd, Grantchester Meadows, una sorta di filastrocca bucolica di grande impatto.

12 – A Saucerful of Secrets (voto: 😎

Secondo album della loro storia (1968), nonché l’ultimo con Syd Barrett, è un lavoro che prosegue sulla scia space rock psichedelica dell’album di debutto, ma senza quella freschezza e quella chiarezza d’intenti che era stata una delle caratteristiche migliori Piper.

Ne ascoltiamo un estratto: ecco la famosa Set the Controls for the Heart of the Sun.

11 – Obscured by Clouds (voto: 😎

Passiamo al 1972 con la seconda colonna sonora firmata dalla band. Album che segna il passaggio dalla fare psichedelica-sperimentale delle origini a quella classica dei loro capolavori più famosi, ha già al suo interno degli accenni di grande interesse, ma anche qualche brano ancora immaturo e figlio di un’epoca che ormai stava per essere messa del tutto alle spalle.

Il brano più famoso di questo disco fu Free-Four, trasmessa con regolarità dalle radio (per la prima volta dai tempi di See Emily Play), ma noi andiamo ad ascoltarci il pezzo più riuscito: Wot’s… uh the Deal.

10 – A Momentary Lapse of Reason (voto: 😎

Tredicesimo album della loro carriera, pubblicato nel 1987, è il primo disco dopo l’abbandono di Roger Waters, e quindi il primo lavoro veramente partorito dalla mente di David Gilmour.

Un disco coraggioso, che provò a modernizzare il sound tipico della band e soprattutto ad allontanarlo da quello imposto negli ultimi lavori da Waters. Il risultato fu soddisfacente, ma lontano dai livelli raggiunti nel recente passato. Al suo interno è però presente uno dei pezzi più emozionanti mai firmati dai Floyd: On the Turning Away.

9 – The Piper at the Gates of Dawn (voto: 8)

Tutto iniziò così, con un lavoro fiabesco e spaziale, partorito da una mente fervida e ricca d’immaginazione, quanto delicata e fuori controllo, quella di Syd Barrett.

Piper è il suo testamento, in un certo senso, il suo primo lavoro e anche quello in cui è riuscito a dare il meglio di sé. Un disco che contiene dentro di sé il germe di generi che ancora dovevano nascere in quel lontano 1967: indie, punk, noise e tanto altro. Per questo è una pietra miliare dal valore inestimabile, nonostante abbia resistito ai segni del tempo con molta fatica.

Di seguito una versione live del capolavoro Interstellar Overdrive:

8 – The Final Cut (voto: 8+)

Altro testamento, ma stavolta della carriera floydiana di Waters. Ormai fuori controllo, il bassista pubblicò questo disco con i vecchi compagni (eccetto Wright) e usò ancora il nome Pink Floyd, ma molti fan sono d’accordo nel considerarlo già un suo lavoro solista.

Di fatto, l’apporto degli altri membri in questo lavoro è minimo, e questo fa perdere un po’ di quella magia che aveva caratterizzati i dischi precedenti. Resta tuttavia un concept dedicato al padre di Roger, morto durante la Seconda guerra mondiale, di altissimo livello. Ascoltiamo insieme The Gunner’s Dream:

7 – The Wall (voto: 8+)

E a proposito di lavori a marca Waters, arriviamo a uno dei due album più famosi in assoluto nella carriera dei Floyd, The Wall (1979). Doppio disco che racconta con un concept di straordinaria intensità, la storia di una rockstar di nome Pink e dei suoi traumi psicologici, è caratterizzato da una lunghezza tipica dei lavori opera rock, e da alcuni brani divenuti immortali.

Ricordiamo tra i tanti Another Brick in the Wall, Mother, Hey You e quella Comfortably Numb che vanta uno degli assolo di chitarra più belli della storia del rock.

6 – Meddle (voto: 8.5)

Sesto album della band, datato 1971, è un ennesimo tassello nel loro passaggio dalla fase psichedelica al prog e all’art rock. Un disco vissuto in gran parte sulla lunga suite Echoes, capolavoro da oltre 23 minuti che occupa tutto il lato B dell’LP, ma anche su altri brani celebri come One of These Days e Fearless.

Ascoltiamo insieme proprio One of These Days, uno dei riff di basso di Roger Waters più famosi:

5 – Atom Heart Mother (voto: 9-)

1970. Ummagumma è alle spalle, e con esso la fase psichedelica e sperimentale pura del gruppo. L’anello di congiunzione tra ciò che sono stati e ciò che sarebbero di lì a poco diventati è rappresentato da Atom Heart Mother, l’album della celebre vacca in copertina.

Un altro disco vissuto per gran parte su una suite, la title track, da oltre 23 minuti, con un riff di fiati che ci accompagna in un viaggio straordinario, e la bizzarra Alan’s Psychedelic Breakfast, una strumentale da oltre 12 minuti. Nel mezzo, alcune ballate dal sapore folk come If e Fat Old Sun:

4 – Animals (voto: 9-)

Ai piedi del podio rimane Animals, il capolavoro del 1977 che anticipa The Wall. Un concept album che critica le condizioni socio-politiche del Regno Unito degli anni Settanta e che già anticipa alcuni dei temi che diverranno tipici della carriera di Waters anche da solista.

Rispetto ai dischi precedenti presenta un’evoluzione musicale che va a confluire in brani lunghissimi e centrali come Dogs, Pigs e Sheep, incorniciati dalle due parti della breve e folkloristica Pigs on the Wing.

3 – The Division Bell (voto: 9-)

Datato 1994, The Division Bell è l’ultimo album del gruppo prima dello scioglimento ufficiale. Si tratta del capolavoro musicato da Gilmour e Wright, un disco sottovalutato probabilmente solo perché arrivato alla fine di un viaggio di oltre venticinque anni.

Incentrato sulla mancanza di comunicazione tra le persone, è forse il disco più umano nella carriera dei Pink Floyd, e per questo probabilmente il più emozionante. Basti pensare a brani di grandissima intensità, come Marooned, A Great Day for Freedom e Coming Back to Life. Brani che, pur arrivati al tramonto dell’avventura di un gruppo inimitabile, ci ricordano cosa sia in grado di trasmettere la musica quando è composta con cuore e anima. Di seguito il singolo High Hopes:

2 – The Dark Side of the Moon (voto: 9+)

Probabilmente l’album più famoso della storia. Tutto in questo disco è perfetto, o quasi: dalla copertina alle canzoni, dai testi alle idee. Si può dire che nel 1973, con la pubblicazione di TDSOM, i Pink Floyd si guadagnarono definitivamente il paradiso degli artisti.

Non c’è brano che non emozioni, non c’è ascolto che non regali sfumature fino a quel momento non notate. Dark Side è un capolavoro destinato a fare scuola per secoli e secoli, grazie a canzoni che ancora oggi suonano moderne e attuali, potremmo dire universali, come Time, Us and Them, Money, ma anche l’assolo di voce straziante di The Great Gig in the Sky. Impossibile far meglio… o forse no?

1 – Wish You Were Here (voto: 9.5)

1975. Reduci dal successo mondiale di Dark Side, i Floyd decidono, consapevolmente o meno, di regalare un tributo a colui che era stato l’artefice di ciò che in quel momento erano diventati: Syd Barrett.

Dolore, frustrazione, rimpianto, nostalgia: le emozioni umane sono centrifugate in un disco che alterna momenti di pura magia prog ad altri che sfociano qusi nel pop, come nel caso della ballata emozionante che dà il titolo a questo lavoro immortale. Un lavoro vissuto per gran parte sull’estasi della suite Shine on You Crazy Diamond (divisa in due parti, una all’inizio e una alla fine) avvolta da mille leggende…

Per Wright e Gilmour è l’album dei Pink Floyd migliore in assoluto. Non possiamo che essere d’accordo con loro.

FONTE FOTO: https://www.facebook.com/engagingfacts

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