L’utilizzo dei token ai concerti sta diventando sempre più frequente attirando un numero crescente di critiche e polemiche.
L’utilizzo dei token nei concerti sta diventando sempre più un’abitudine diffusa tra gli organizzatori di eventi dal vivo in Italia. Si tratta di gettoni di plastica colorata che fungono da moneta alternativa e obbligatoria per poter effettuare acquisti all’interno degli eventi, il cui utilizzo sta suscitando non poche polemiche e malcontento tra i partecipanti.
La critica maggiore riguarda la necessità di acquistare i token in quantitativi minimi, spesso inutilizzabili integralmente, e la mancanza di un sistema di rimborso. Le problematiche legate a questo fenomeno riguardano sia la logistica degli eventi sia le implicazioni economiche e ambientali legate all’uso di questi gettoni monouso.
Token: tra utilità e disagio
Gli organizzatori degli eventi giustificano l’uso dei token per ridurre le file e garantire una maggiore tracciabilità dei pagamenti. Tuttavia, questa prassi sembra generare più problemi che soluzioni per il pubblico. Gli spettatori dei concerti, infatti, lamentano di essere costretti a sostenere costi aggiuntivi non previsti oltre che una limitazione nella libertà di scelta nel pagamento.
Molti si sentono costretti ad acquistare cibi e bevande di cui non avrebbero bisogno pur di finire i token. Questo è quanto riportato dalla testimonianza di un partecipante al concerto degli AC/DC a Reggio Emilia: “Ormai sono svariati anni che subiamo l’imposizione dell’acquisto dei token. L’ultima volta è stata al concerto degli AC/DC a Reggio Emilia”.
“È stato imposto un acquisto di un numero prestabilito di token non rimborsabili e quindi induce ad acquistare cibi e bevande (di cui si farebbe a meno) solo per terminare i gettoni in eccesso. È una pratica scorretta che non migliora e non velocizza per nulla i servizi“.
Il malcontento si fa sentire anche online, dove non mancano segnalazioni di utenti che descrivono i token come una pratica scorretta, capace di caricare il pubblico di spese ingiustificate. Da situazioni in cui l’acquisto minimo di token si traduce in spese sproporzionate per beni di primaria necessità come l’acqua, fino a casi di veri e propri residui di spesa imposti che terminano per incentivare consumi non necessari, il panorama delle lamentele è vasto e variegato.
Il costo nascosto dei token
In base alle dichiarazioni di un organizzatore di eventi, che ha scelto di rimanere anonimo, il meccanismo dei token è deliberatamente costruito per alterare la percezione di spesa del pubblico, facendogli credere di spendere meno.
Questa strategia si rivela particolarmente redditizia, perchè, spiega la fonte: “Lo scopo è creare la rimanenza: in un evento da 14-15mila presenze si guadagnano 30mila euro di token non usati. Il calcolo che si fa di solito è due euro a persona”.
Le implicazioni ambientali della plastica monouso
La critica non risparmia poi le implicazioni ambientali dei token monouso. Nonostante la crescente attenzione verso pratiche eco-sostenibili, l’uso di plastica, spesso non riciclata né riciclabile, solleva questioni importanti sull’impatto ambientale di questi eventi. L’evidenza di pratiche poco chiare e spesso sfavorevoli per i consumatori sta catalizzando l’attenzione di associazioni come Altroconsumo, intente a chiarire la legalità e l’etica di queste scelte organizzativi.
Il dibattito sui token evidenzia la necessità di un maggiore equilibrio tra le esigenze organizzative degli eventi e i diritti dei consumatori. Mentre crescono le critiche e le mobilitazioni per un intervento dell’Antitrust, sorge spontanea la domanda su una possibile revisione di questo sistema in favore di pratiche più trasparenti e rispettose sia degli spettatori sia dell’ambiente. La direzione presa da festival di rilievo europeo, che offrono alternative più flessibili e rimborsabili, potrebbe rappresentare un modello verso il quale orientarsi.