Tutti gli artisti che fecero la storia al Festival di Woodstock

Tutti gli artisti che fecero la storia al Festival di Woodstock

Festival di Woodstock: gli artisti e i cantanti che suonarono a Bethel nell’evento musicale più famoso di tutti i tempi.

Il nome del leggendario Festival di Woodstock, la kermesse musicale che per tre giorni celebrò la cultura hippie a Bethel, vicino New York, tra rock, folk, pace e amore, è rimasto legato soprattutto ad alcuni artisti entrati nel mito: Janis Joplin, gli Who, i Jefferson Airplane e, soprattutto, Jimi Hendrix. Tuttavia, oltre a questi nomi a impreziosire il tabellone vi erano tantissimi artisti che hanno contribuito a rendere unica l’esperienza musicale di Woodstock, di fatto entrando per sempre nella storia. Andiamo a riscoprirli tutti, uno ad uno.

Tutti gli artisti del Festival di Woodstock

Carlos Santana

15 agosto 1969: la giornata del folk

Ad aprire la kermesse il primo giorno fu Richie Havens, che suonò alcune canzoni dei Beatles e si lasciò andare all’improvvisazione più lunga nella storia del festival con l’ultimo pezzo, Freedom. Dopo l’invocazione spirituale del maestro religioso indiano Swami Satchidananda, toccò agli Sweetwater, tra i pionieri del rock psichedelico.

Il terzo artista fu Country Joe McDonald, che in questo primo giorno suonò senza la propria band. Toccò quindi al folksinger John Sebastian, che fu costretto a lasciare il palco a metà esibizione perché la moglie nel frattempo aveva partorito. Al suo posto tornarono a suonare gli Sweetwater.

Dopo di loro, toccò agli scozzesi Incredible String Band, un gruppo acustico, al folksinger Bert Sommer, e al cantutore Tim Hardin, che con due soli brani rimase sul palco per circa un’ora.

Grande protagonista fu anche Ravi Shankar, il maestro di sitar che insegnò a George Harrison i segreti di questo magnifico strumento. A seguire, salì sul palco Melania Safka, che scaldò l’atmosfera per Arlo Guthrie, il figlio del primo folksinger moderno, Woodie Guthrie. Chiuse la prima serata la regina del folk, Joan Baez, che salì sul palco nonostante fosse al sesto mese di gravidanza. Di seguito la sua esibizione sulle note di We Shall Overcome:

16 agosto 1969: il meglio della psichedelia

Aprirono il secondo giorno i Quill e Keef Hartley Band, nomi oggi conosciuti da pochi fedelissimi. A incendiare l’atmosfera fu l’esibizione dei Santana del mitico chitarrista Carlos. Seguirono i Canned Heat di Alan Wilson (uno dei membri del Club 27) e i mitici Mountain, tra i pionieri dell’hard rock.

La regina della tre giorni fu però Janis Joplin, che emozionò il pubblico con la Kozmic Blues Band, con la chiusura straordinaria con Piece of My Heart e Ball and Chain. Seguirono Sly and the Family Stone, eccezionali musicisti tra funk e psichedelia. E poi ancora i Grateful Dead, tra le formazioni di punta del rock psichedelico americano. Tra l’altro la loro performance fu segnata da diversi problemi tecnici.

Tra country, blues, folk e rock, fu poi il turno dei Creedence Clearwater Revival, che riscaldarono ancora l’atmosfera prima del gruppo forse più atteso del secondo giorno: gli Who. Il quartetto inglese iniziò a suonare alle quattro del mattino, accompagnando anche l’alba.

Al termine dell’esibizione, Pete Townshend distrusse la sua chitarra e la gettò tra il pubblico. La chiusura di questa maratona fu affidata ai Jefferson Airplane, l’altro pilastro della psichedelia americana. Ecco la loro leggendaria White Rabbit:

17 agosto 1969: Jimi Hendrix day

Dopo l’apertura strumentale della Grease Band salì sul palco il primo big della terza giornata: il leggendario Joe Cocker. Un temporale interruppe il concerto per diverse ore dopo la sua esibizione. Al rientro tornò sul palco Country Joe, stavolta con i suoi Fish. Seguirono altre leggende: i Ten Years After del chitarrista Alvin Lee.

Toccò poi ai canadesi-americani The Band, seguiti dai padrini del jazz rock, i Blood, Sweat and Tears. Johnny Winter, fenomeno del blues rock, chiuse la prima parte di questo terzo giorno, prima dell’arrivo di un’altra formazione tra le più attese: Crosby, Stills, Nash & Young, che si esibirono prima con una scaletta acustica, poi con una elettrica.

L’entusiasmo era alle stelle, e fu goduto anche dai successivi Paul Butterfield Blues Band e gli Sha Na Na, artisti di punta del rock and roll. L’ultimo a esibirsi fu Jimi Hendrix, alle nove del lunedì mattina, davanti a un pubblico dimezzato in quanto molti avevano dovuto tornare al lavoro (da 500mila persone si passò a 200mila). Fu comunque una perla della sua carriera: il chitarrista suonò per due ore, un evento più unico che raro per i suoi standard.

Nel video il leggendario inno americano suonato da Jimi:

https://www.youtube.com/watch?v=ezI1uya213I

Gli artisti assenti e i grandi rifiuti

In scaletta era prevista anche l’esibizione del Jeff Beck Group, ma la band si sciolse poco prima dell’evento. Anche gli Iron Butterfly, altra storica formazione psichedelica, avrebbe dovuto prendervi parte, ma rimase bloccata in aeroporto.

Storia diversa per Joni Mitchell, che rifiutò all’ultimo momento di partecipare su consiglio del suo manager, che preferì farle prendere parte a una trasmissione televisiva. Mai scelta fu più errata… Ma andò peggio ai canadesi Lighthouse che, dopo essersi ritirati, di fatto vennero presto dimenticati da tutti.

Tra i grandi assenti a Woodstock ricordiamo: i Beatles, con John Lennon che avrebbe accettato solo se fosse stata invitata anche la Plastic Ono Band, ritenuta dagli organizzatori non all’altezza; Bob Dylan, che si ritirò a causa della malattia del figlio; i Doors, alle prese con una serie di problemi con la legge del loro frontman Jim Morrison; i Led Zeppelin, che non volevano essere una band in scaletta tra le tante; i Procol Harum, alle prese con una tournée lunga e faticosa; i Jethro Tull, per la storica avversione di Ian Anderson al mondo hippie e agli abusi di alcol e droghe; e poi ancora, per cause mai del tutto chiarite, Frank Zappa e i Mothers of Invention, i Byrds, i Moody Blues, i Free e Chuck Berry.

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