Tra poco sarà anche lui sul palco del tradizionale concerto del 1° maggio. Ma prima Niccolò Fabi parla del suo nuovo disco, Una somma di piccole cose, al microfono della nostra inviata, Selenia Orzella
Finalmente Niccolò Fabi, benvenuto. Innanzitutto come stai?
«Bene, è un momento abbastanza suggestivo visto che è appena uscito il disco [disponibile dallo scorso 22 aprile, ndr] e stiamo per capire, banalmente, che effetto farà alle persone che lo stanno ascoltando».
Una somma di piccole cose è il tuo ottavo album in studio. Ma ha detto che, anche se quest’anno sono 20 anni di carriera, non ti abituerai mai al fatto che una cosa così privata possa diventare così pubblica.
«È qualcosa di quasi innaturale. Le canzoni quando nascono non nascono per essere pubblicate. Nascono, invece, per ragioni un pochino più interne. E il fatto che poi a un certo punto diventino materia di un discorso – e anche di giudizio – da parte di chi le ascolta è qualcosa che inizialmente spaventa un po’. In questo caso forse ancora di più perché le canzoni sono veramente nella loro forma primordiale, non c’è nessun lavoro di successiva levigatura o di successiva produzione o studio. Sono state registrate proprio nel momento in cui nascevano, da me solo, in una casa in campagna. È quasi un atto di voyeurismo. Ma in fondo me la sono cercata io: non mi hanno mica obbligato…».
Ci sono tre brani già editi, che sono usciti prima della pubblicazione del disco. Poi c’è Vince chi molla, la traccia che conclude l’album, che è il racconto di un lungo attacco di panico. Tu lo sai che questa canzone potrebbe diventare terapeutica per molte persone?
«Ma sarebbe una grande aspirazione che una canzone come questa potesse sostituire – o meglio, affiancare – qualche pillolina. Non è esattamente la descrizione di un attacco di panico, ma è quello che possiamo essere in grado di fare per spostare l’attenzione da ciò che ci terrorizza alla lenta restituzione del nostro equilibrio. E si può riuscirci lasciandosi andare, mollando anche il desiderio di combattere contro una corrente più forte di te. Esattamente come accade quando si è in alto mare e si lotta contro le onde. Lasciarsi andare significa saper abbandonare un po’ la propria vita, i propri attaccamenti».
Prima del tour c’è per te una data fondamentale: sarai infatti tra gli artisti che saliranno sul palco del 1° maggio, che è un 1° maggio di lotta reale, vero.
«Negli scorsi anni non per ragioni personali ma di circostanza, non mi è mai capitato di poter essere su quel palco. Anche perché – lo ammetto – non da un punto di vista di cittadino, ma di musicista, il linguaggio che ho non è quello adatto ai grandi raduni, alla piazza. Non ho quella sloganistica, a volte anche un po’ retorica, che in genere si sente nel momento in cui si deve arringare la folla. Ma quest’anno penso di avere due canzoni che sono un “buon contributo” per quella giornata. Una è Ho perso la città, che è una traccia nuova. L’altra è Giovanni sulla Terra, che ho scritto per il progetto del Trio, con Max Gazzè e Daniele Silvestri, che contrariamente a quanto ho sempre fatto, racconta la figura di un lavoratore che fa fatica a coniugare le proprie ambizioni con le richieste del mercato: mi sembrava un buon punto di partenza per essere su quel palco fisicamente.
Si ringrazia Niccolò Fabi per la gentile disponibilità.